Oggi, è uscito un articolo di carattere e con considerazioni sociologiche da parte di E. Diamante su un aspetto alla base di qualsiasi società : il sistema educativo. Il tono è sarcastico. Il tema è quello dei “contenuti e delle relazioni” educative nella scuola d’oggi. Dopo una disanima della situazione (catastrofica?!) odierna, l’opinionista la butta sul sarcasmo. E sviluppa quindi le seguenti considerazioni (urla al cielo con le mani nude..) :… dalla società si leva il grido
…“ Maledetti professori. Responsabili di questa generazione senza qualità e senza cultura. Senza valori. Senza regole. Senza disciplina. Mentre i genitori, le famiglie, i predicatori, i media, gli imprenditori. Loro sì che il buon esempio lo danno quotidianamente. Partecipi e protagonisti di questa società (in)civile. Ordinata, integrata, ispirata da buoni principi e tolleranza reciproca. Per non parlare del ceto politico. Pronto a supplire alle inadempienze e ai limiti della scuola. Guardate la nuova ministra: appena arrivata, ha già deciso di attribuire un ruolo determinante al voto in condotta. Con successo di pubblico e di critica. “
I.D. (Repubblica,28 luglio,08)
Mi chiedo : basta il sarcasmo? Magari bastasse un può di sano distacco, un po di ironia o anche del sarcasmo. Ma, come giustamente osserva il nostro opinionista, la situazione è molto grave, quasi “non prendibile”. … “Maledetti professori. Non servono più a nulla. Meglio abolirli per legge. E mandarli, finalmente, a lavorare.” E invece va presa dalla parte che si vuole. O meglio dalle parti che la si vuole. Un “soggetto qualsiasi” si chiede : che mai ho a che fare con gente che “ha un’altra cultura”,.. “fa altre scelte” .. “ha altre preferenze” ? Non basta più chiederselo: servono risposte operative sia a livello istituzionale che sociale. Facciamo un passo indietro. Le risposte organizzative – per dirimere le opzioni - storiche sono state : a- il conflitto fino alla guerra e alla prevalenza di qualcuno b- il tentativo di melting pot c- la democrazia della maggioranza d- forme locali diverse (che qui rispettiamo ma la cui trattazione qui ci porterebbe lontano,fuori tema) che hanno alla base le loro altrettanto diverse e non sempre condivisibili motivazioni.
Allora? Allora ,si tratta di diventare “realisti” e – sapendone la fattibilità – prendere in seria considerazione l’organizzazione pratica delle differenze. Oltre alla “democrazia della maggioranza” ci sono altre forme istituzionali possibili (?!). Un livello minimo generalizzato di istituzionalizzazione va garantito : le garanzie sui diritti generali (da concordarne un po i confini) dell’uomo. E poi, l’organizzazione delle differenze , delle decisioni “impegnative” (per volume,incidenza … ) con le relative conseguenze. Esempio pratico. Se “un soggetto” sta in una comunità e paga le tasse per avere pensioni e sanità sociale non può essere assimilato a chi ha una idea e una pratica che lo porta a non pagare le tessa (e magari pure volere sanità e pensioni…). Qui c’è uno spartiacque, una nuova forma organizzativa che va attivata : la organizzazione della democrazia delle decisioni ! Su questo dobbiamo e possiamo andare a costruire il nostro futuro e con esso il nostro farci e disfarci - comprensivo dell’espressione delle strutture dirigenti. Perché mai chi accetta il valore dell’organizzazione per merito, impegno e socialità dovrebbe avere le stesse “azioni e le stesse conseguenze” di chi rifiuta l’organizzazione sulla base del merito, preferisce la disuguaglianza dei contributi, la gerarchizzazione (diversa) delle relazioni e una comunità dei furbini ?
Non è più tempo di indugi. La società delle decisioni implica conseguenze diverse per preferenze e decisioni diverse. Poi, il tema - di come organizzare l’attraversamento tra il nostro essere multiformi e multifacce e le forme istituzionalizzate delle diversità - rimane una questione aperta importante da non sottovalutare. Ma non si può che partire dalla costruzione della istituzionalizzazione delle diverse preferenze! Questa volta (purtroppo,forse..) senza troppo sarcasmo !
…“ Maledetti professori. Responsabili di questa generazione senza qualità e senza cultura. Senza valori. Senza regole. Senza disciplina. Mentre i genitori, le famiglie, i predicatori, i media, gli imprenditori. Loro sì che il buon esempio lo danno quotidianamente. Partecipi e protagonisti di questa società (in)civile. Ordinata, integrata, ispirata da buoni principi e tolleranza reciproca. Per non parlare del ceto politico. Pronto a supplire alle inadempienze e ai limiti della scuola. Guardate la nuova ministra: appena arrivata, ha già deciso di attribuire un ruolo determinante al voto in condotta. Con successo di pubblico e di critica. “
I.D. (Repubblica,28 luglio,08)
Mi chiedo : basta il sarcasmo? Magari bastasse un può di sano distacco, un po di ironia o anche del sarcasmo. Ma, come giustamente osserva il nostro opinionista, la situazione è molto grave, quasi “non prendibile”. … “Maledetti professori. Non servono più a nulla. Meglio abolirli per legge. E mandarli, finalmente, a lavorare.” E invece va presa dalla parte che si vuole. O meglio dalle parti che la si vuole. Un “soggetto qualsiasi” si chiede : che mai ho a che fare con gente che “ha un’altra cultura”,.. “fa altre scelte” .. “ha altre preferenze” ? Non basta più chiederselo: servono risposte operative sia a livello istituzionale che sociale. Facciamo un passo indietro. Le risposte organizzative – per dirimere le opzioni - storiche sono state : a- il conflitto fino alla guerra e alla prevalenza di qualcuno b- il tentativo di melting pot c- la democrazia della maggioranza d- forme locali diverse (che qui rispettiamo ma la cui trattazione qui ci porterebbe lontano,fuori tema) che hanno alla base le loro altrettanto diverse e non sempre condivisibili motivazioni.
Allora? Allora ,si tratta di diventare “realisti” e – sapendone la fattibilità – prendere in seria considerazione l’organizzazione pratica delle differenze. Oltre alla “democrazia della maggioranza” ci sono altre forme istituzionali possibili (?!). Un livello minimo generalizzato di istituzionalizzazione va garantito : le garanzie sui diritti generali (da concordarne un po i confini) dell’uomo. E poi, l’organizzazione delle differenze , delle decisioni “impegnative” (per volume,incidenza … ) con le relative conseguenze. Esempio pratico. Se “un soggetto” sta in una comunità e paga le tasse per avere pensioni e sanità sociale non può essere assimilato a chi ha una idea e una pratica che lo porta a non pagare le tessa (e magari pure volere sanità e pensioni…). Qui c’è uno spartiacque, una nuova forma organizzativa che va attivata : la organizzazione della democrazia delle decisioni ! Su questo dobbiamo e possiamo andare a costruire il nostro futuro e con esso il nostro farci e disfarci - comprensivo dell’espressione delle strutture dirigenti. Perché mai chi accetta il valore dell’organizzazione per merito, impegno e socialità dovrebbe avere le stesse “azioni e le stesse conseguenze” di chi rifiuta l’organizzazione sulla base del merito, preferisce la disuguaglianza dei contributi, la gerarchizzazione (diversa) delle relazioni e una comunità dei furbini ?
Non è più tempo di indugi. La società delle decisioni implica conseguenze diverse per preferenze e decisioni diverse. Poi, il tema - di come organizzare l’attraversamento tra il nostro essere multiformi e multifacce e le forme istituzionalizzate delle diversità - rimane una questione aperta importante da non sottovalutare. Ma non si può che partire dalla costruzione della istituzionalizzazione delle diverse preferenze! Questa volta (purtroppo,forse..) senza troppo sarcasmo !
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